Nel 2014, Carlo Taormina, avvocato ed ex parlamentare Forza Italia, durante la trasmissione radio “La Zanzara” dichiarò che non avrebbe mai assunto persone omosessuali che definì come “gente malata”.
Da quel momento, grazie a Rete Lenford, un’avvocatura per i diritti LGBTQI, si creò il “Caso Taormina”. Rete Lenford fece causa all’avvocato con l’accusa di aver annunciato politiche discriminatorie sul lavoro in base all’orientamento sessuale.
L’accusa, riconosciuta prima dal Tribunale di Bergamo e poi dalla Corte d’appello di Brescia, condannò Taormina a pagare una sanzione di 10.000 euro. Ma una volta fatto ricorso alla Cassazione, quest’ultima sospende il giudizio e si rivolge alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea chiedendo quale sia la giusta interpretazione delle norme discriminatorie di tale caso poiché riferito ad un’intenzione espressa e non ad un atto avvenuto.
Oggi la Corte di Giustizia UE ha deliberato: “Le dichiarazioni omofobe costituiscono una discriminazione in materia di occupazione e di lavoro se pronunciate da chi esercita, o può essere percepito come capace di esercitare, un’influenza determinante sulla politica di assunzioni di un datore di lavoro. In un simile caso, il diritto nazionale può prevedere che un’associazione sia legittimata ad agire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni, anche se un individuo leso non è identificabile” riconoscendo così la legittimazione ad agire di Rete Lenford.