L’hanno definito il re Mida della tv: le sue serie dilagano, intaccando persino i record produttivi di Shonda Rhymes (la mamma di Grey’s Anatomy, Scandal, Le regole del delitto perfetto). Lo abbiamo visto in: American horror story, American Crime story, nella accezione molto gaia della storia segreta del delitto Versace, Feud e 9-1-1. Ma più che Re Mida, Ryan Murphy ci ricorda gli imperatori romani, da Adriano a Eliogabalo, che portarono un bel po’ di trasgressione nelle corti del loro tempo. Anche Murphy ha fatto lo stesso con la tv americana. Prima con Nip/ Tuck, poi creando universi di orrore, non senza poesia, di American Horror Story, e infine giocando con i delitti famosi che hanno sconvolto l’opinione pubblica, per raccontarne il lato più oscuro e eccitante.
Sono opera di Murphy anche Scream Queens e Glee, serie musicale intrisa di temi LGBT, ma la serie per cui è più conosciuto è American horror story, dove giocando con le paure (zombie, mostri, ma anche Donald Trump) ha liberato gay e lesbiche da molti luoghi comuni, dandogli ruoli sostanziosi e a volte anche un po’ perfidi, senza mai però scivolare nei cliché. E poi c’è Feud, la cui prima stagione racconta l’epica rivalità tra Bette Davis e Joan Crawford ai tempi di Che fine ha fatto baby Jane. Una serie da vedere assolutamente, fosse solo per le due protagoniste: Susan Sarandon e Jessica Lange (già musa di Murphy in 5 stagioni di American Horror Story).
Imperdibile è American Crime Story, che racconta i crimini che hanno sconvolto l’opinione pubblica americana, da O.J. Simpson alla rappresentazione televisiva del delitto Versace così come fu congegnato dall’orribile Cunanan. Prendendo spunto dal libro dell’ottima Maureen Orth, che ha speso anni ed energie per indagare nei meandri di quel caso giudiziario mai del tutto risolto, Ryan mette in scena il mondo in cui si svolse quel crimine. Ed è soprattutto sul killer che si concentrano le attenzioni: viene raccontato nel suo piccolo mondo di escort, che frequentava i giri giusti, con una tendenza di carattere psicopatico accentuata dalle droghe. Il delitto di Versace per Murphy è dunque un pretesto per raccontare il clima omofobo dell’America degli anni 90, l’arrivo delle droghe sintetiche, la mitomania. È insomma per citare Hannah Arendt una serie sulla banalità del male.
Ma chissà, forse il vero, grande capolavoro di Murphy, è paradossalmente quello che avuto meno successo: The New Normal, serie tv del 2012, che prima ancora che l’America scoprisse i matrimoni gay, affrontava il tabù della maternità surrogata di una coppia omo. È durata solo una stagione, ma è la serie che più di tutte ha rotto gli argini del conservatorismo sentimentale americano, visto che è stata trasmessa da una rete nazionale come la Nbc. Non senza polemiche. Ma a quelle Murphy è abituato.
Di Eugenio Spagnuolo
Immagine cover: American Crime Story. Antonio D’Amico, interpretato da Ricky Martin