“Live like a local”
Roma non necessita presentazioni. Visitarla è il sogno di una vita, per molti turisti esteri ed italiani. Tutti visitano Roma, pochi ne conoscono i litorali, come per la graziosa Fregene. Soprattutto dal punto di vista gastronomico.
La cucina romanesca è di forte matrice popolare (tant’è che si suol dire “cucina romanesca”) ed agreste, ricca di materie di recupero e di influenze mediterranee. Senza dimenticare che la città di Roma è stata ed è la sede del cattolicesimo, crocevia di milioni e milioni di persone, quanto ha generato una cucina ricca di diverse influenze, tra le più poliedriche e sempre in evoluzione.
Della cucina romanesca si racconta già in epoca imperiale: Marco Gavio Apicio scrive il De Coquinaria che è la più antica raccolta di ricette: dalla cucina povera delle taverne a quella lussuriosa delle ville patrizie. Con l’avvento della Controriforma, essa subisce il duro contraccolpo imposto dal digiuno e dalla penitenza, per poi riprendersi con i bujaccari, antesignani delle moderne trattorie, caratterizzate da buon cibo e tanta convivialità.
Dall’abbacchio alla porchetta, dai carciofi alla giudìa (il ghetto ebraico romano è stato per secoli uno dei più grandi d’Europa), alla coda alla vaccinara, alla trippa alla romana, alle animelle fritte, per arrivare alla pasta con ricette ormai internazionali, come l’Amatriciana e la Gricia, il cacio e pepe. Le influenze regionali, la presenza di una fiorente agricoltura ed allevamento (Agro Romano), un mattatoio cittadino come il Testaccio, che ha segnato profondamente la cucina di taverne e trattorie, a cui si rivendeva il “quinto quarto” cioè le frattaglie e le interiora delle bestie macellate… La cucina romanesca è questo: autentico legame con la terra, frugalità, forte identità locale e genuinità.
Ristoranti come “La Sora Lella”, “Lo Scopettaro”, “Trattoria Da Danilo” ed il “Ba’ghetto” ne sono stati riconosciuti i portavoce insigni, anche grazie a produzioni televisive come “4 Ristoranti” di Alessandro Borghese, che ne ha sottolineato l’autenticità non solo nella tradizione dei piatti, bensì anche nella coerenza con arredi ed architettura.
Il litorale alto laziale è una vera scoperta: ricco di storia e di voglia di crescita, di innovazione, di futuro. È qui che, con l’università della Tuscia si sta testando il ripopolamento dei crostacei, grazie al loro valore alimentare. Da citare la graziosa Santa Marinella, detta “la perla del Tirreno” per le sue acque cristalline ed il prestigioso Castello Odescalchi, proprio sul litorale. Gli Etruschi avevano compreso l’importanza della cittadina portuale, per i commerci verso Cartagine ed i Romani vi edificarono poi il castello, originariamente del giureconsulto Ulpiano.
Il Castello Odescalchi è oggi location per grandi eventi e per celebrazioni nuziali. Alla sua base, il porticciolo turistico, che crea un’atmosfera particolarmente romantica, in particolare nel tardo pomeriggio quando una leggera brezza tiepida si alza dal mare.
Anche la graziosa Fregene, sul litorale tirrenico, è un’autentica scoperta. Insediamento romano utilizzato come riserva di caccia e luogo di ristoro per i patrizi romani, raggiunge il suo splendore quando l’aristocrazia romana la scopre a partire dal 1930, viene incorporata nella tenuta di Maccarese guadagnando lustro e notorietà. Più avanti, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, sarà il cinema a consolidare il mito di Fregene. Molti i cineasti che ci vengono ad abitare.
Fregene è poco conosciuta dal turismo attratto dall’accecante bellezza di Roma. Resta però il luogo nel quale convivere con l’autentica “romanità”, su spiagge lunghe e caratterizzate dai profumi della macchia mediterranea. Più a sud, invece si distingue un’autentica oasi naturistica: la spiaggia di Capocotta, ben conosciuta dalla comunità gay e non, dalle acque cristalline. Insomma, “Live like a local” è un’esperienza da fare, approfittando delle spiagge mozzafiato che disegnano l’orizzonte romano, con il vantaggio di mangiare bene e quasi sempre in compagnia.
Di Giovanna Ceccherini