Robert Mapplethorpe è per la fotografia americana quello che Pier Paolo Pasolini è per la poesia italiana.
Non c’è fotografo o esteta gay che non si sia nutrito della storia di questo artista e non abbia un paio di suoi libri in casa. In un invito ad una mostra (Pictures) Mapplethorpe mise la foto della sua mano che scriveva “Pictures” prima in giacca con il polsino della camicia elegante, e poi con un braccialetto a catena e la manica di un giubbotto di pelle in versione sadomaso.
Come in Pasolini, infatti, si fondono in lui due anime: quella notturna, del voyeur, del frequentatore del mondo gay dei bassifondi, e quella dell’artista, padrone di un ambiente all’avanguardia e ricco di cultura, ma anche nutrito di apparente indifferenza emotiva.
Tutta la vita così, fra questi dubbi, iniziando, per fare un dispetto a mamma e papà, cattolici, col rubare giornaletti porno gay in edicola. “Erano sigillati, il che li rendeva anche più sexy; perché non li potevi vedere”. “Pensavo che se avessi potuto in qualche modo renderli arte, se avessi potuto mantenere quella sensazione, avrei creato qualcosa di unicamente mio”.
Eppure proprio il padre lo aveva iniziato alla fotografia, e a lui pagò il debito della sua prima giovinezza, ostentando un machismo vano. Da lì, il vai e vieni affettivo. Tranne che con i suoi grandi amori. Il primo fu con Patti Smith. La loro amicizia/amore si fondò su un elemento che la renderà eterna: la fame. Erano due artisti spiantati all’alba della loro carriera. Vivevano in una stanzetta al celebre Chelesa Hotel (come Bob Dylan e tanti altri artisti). “Io e Patti Smith avevamo la stanza più piccola di tutto l’albergo, e dovevamo far finta che ci abitasse solo uno di noi. Avevamo un sacco di sciarpe e vestiti da pochi soldi e uno dei giochi più divertenti era travestirsi”.
Gli anni Settanta a New York furono l’apoteosi per Mapplethorpe, un periodo che lo consegnò alla storia. Era il tempo della Pop Art, della liberazione sessuale. Firmò la copertina dell’album “Horses” di Patti Smith, alcuni ritratti di Andy Warhol, e dei più grandi attori e artisti del tempo, ma anche quelli di drag queen, e ragazzi bianchi e neri a contrasto. Univa allo scandalo una raffinatezza tecnica sconfinata.
Il suo manifesto “the X Portfolio” fu ritratti sadomaso di personaggi famosi. Poi, esagerò passando dalle feste colorate della Pop Art a quelle luccicanti del Falò delle Vanità, ricercando sistemi di stampa sempre più raffinati, fino a usare il platino per ritratti costosissimi.
La morte per Aids, e il gran lavoro della Fondazione Robert Mapplethorpe hanno contribuito alla costruzione del suo mito. Tra le mostre post morte la più celebre a livello internazionale è quella che si tenne a Firenze nel 2009 alla Galleria dell’Accademia accanto alle sculture di Michelangelo, principale ispiratore della sua fotografia.
Ancora oggi le sue foto suscitano scandalo, eppure per lui “un viso, un pene, un fiore hanno lo stesso valore, quello di una scultura nello spazio”.
Di Letizia Strambi