Nessuno direbbe mai a un vaticanista di non occuparsi del Papa, o al giornalista di motori di seguire economia. Per un giornalista che si occupa di tematiche LGBTQ+ invece questo è un “consiglio” che arriva di frequente. C’è ancora molto cammino da fare nell’individuare i pregiudizi verso la diversità, ma per fortuna qualcuno ha iniziato. Si tratta del quotidiano La Stampa che ha scelto il primo Diversity Editor italiano: Pasquale Quaranta. Un lavoro che svolge con impegno.
Quali sono state le sue emozioni quando è stato nominato Diversity editor de La Stampa? Orgoglio? Sorpresa?
Direi orgoglio. La sfida di fronte a noi riguarda non solo una minoranza discriminata, ma un tema più ampio legato alla democrazia. I media giocano un ruolo cruciale nell’orientare l’evoluzione politica e sociale del Paese. È essenziale che giornaliste e giornalisti informino senza discriminare, altrimenti si rischia di perpetuare stereotipi dannosi. Per promuovere un giornalismo inclusivo, è fondamentale riscoprire il cuore del nostro mestiere: l’ascolto delle persone. In qualità di Diversity Editor, lavoro per sensibilizzare i colleghi al rispetto delle parole, poiché il rispetto passa attraverso il linguaggio. Ad esempio, consideriamo come le persone con disabilità o background migratorio siano spesso definite in base a un unico aspetto della loro vita, perpetuando dei pregiudizi. Questo è il mio principale impegno in redazione. All’esterno, la rubrica “Diversity Editor” e gli articoli che scrivo provano a dialogare e a dare voce ad associazioni, leader, influencer e creator digitali.
Quali sono stati i primi passi?
Lo scorso anno, per la prima volta, La Stampa ha partecipato al Torino Pride con un carro e quest’anno per la prima volta ha anche pubblicato il logo del giornale con i colori dell’arcobaleno. Sono gesti simbolici che esprimono una posizione chiara sui diritti civili. Tuttavia, il lavoro più grande si sta svolgendo all’interno della redazione, con il confronto quotidiano con colleghe e colleghi e con l’avvio di corsi nell’ambito della formazione giornalistica obbligatoria. Il primo partirà ad ottobre e avrà luogo simbolicamente proprio nella sede de La Stampa. Ne seguirà un altro, a novembre, nella sede dell’Associazione Stampa Subalpina, e un terzo a dicembre al Centro Lombroso di Torino. Parleremo di disabilità, di persone LGBTQ+, di persone razializzate, di neurodivergenze, di ageismo, solo per citare alcuni argomenti.
Quali sono gli obiettivi che si pone con La Stampa? Segue una linea editoriale?
Mi sono ispirato a buone prassi internazionali, come Krissah Thompson al Washington Post. Sono nel gruppo Gedi da dieci anni, e l’esempio di alcune colleghe mi ha incoraggiato ad andare avanti. Una di queste è Anna Masera, che a La Stampa è stata Public Editor, la garante dei lettori. Mi piacerebbe continuare a organizzare corsi di formazione per giornaliste e giornalisti per sensibilizzare tutta la redazione sui temi della Diversity. Sarà un percorso lungo, che sintetizzerò cercando di realizzare delle linee guida per il giornale, una sorta di “carta deontologica arcobaleno”, da proporre anche all’Ordine dei giornalisti, con la speranza che venga recepita nel Testo unico dei doveri.
Qual è la sua visione della diversità in Italia?
Siamo ancora in una fase di alfabetizzazione sulla diversità. Dai risultati dell’ultimo Diversity Media Report emerge che in Italia si affronta in modo insufficiente e negativo il tema dell’etnia, anche se c’è un miglioramento nell’approccio verso la comunità LGBTQ+. Tuttavia, questo non è sufficiente. I media devono concentrarsi sul dare voce alle comunità poco rappresentate. In questo senso, La Stampa è più avanti rispetto ad altri giornali, sia nella rappresentazione mediatica che nell’esperienza reale delle persone coinvolte nella testata, ma è evidente che c’è ancora molto lavoro da fare.