Il mondo dell’arte è un viaggio affascinante attraverso le espressioni umane nelle loro infinite sfaccettature. Dallo stile classico al moderno, l’arte offre una piattaforma per la discussione, la riflessione e la comprensione dei vari aspetti dell’esistenza umana. Un tema particolarmente ricco di sfumature che l’arte ha esplorato nel corso dei secoli è quello dell’identità e dell’orientamento sessuale.
Situata nel cuore di Milano, la Pinacoteca di Brera è un tesoro nascosto che racchiude storie di amore, passione, tragedia e trionfo. Con una collezione d’arte che spazia dal Medioevo al contemporaneo, la Pinacoteca offre un viaggio nell’arte che va ben oltre la semplice estetica. Tra le opere esposte, alcune si distinguono per la loro rilevanza all’interno della comunità LGBTQIA+.
Queste opere, create da maestri come Dosso Dossi, Daniele Crespi, Amedeo Modigliani e Andrea Appiani, non solo forniscono un’affascinante visione della storia dell’arte, ma offrono anche un’interpretazione unica dell’amore, del desiderio, dell’identità e dell’orientamento sessuale, romantico.
È importante notare che le interpretazioni LGBTQIA+ di queste opere non sono necessariamente intenzionali da parte degli artisti. Tuttavia, l’arte è soggettiva e le opere possono essere interpretate in modi diversi a seconda del contesto sociale e culturale. Quello che conta è la possibilità di vedere rappresentate, in uno spazio pubblico e riconosciuto come la Pinacoteca di Brera, storie e rappresentazioni nelle quali la comunità LGBTQIA+ si rispecchia.
Nel nostro viaggio alla scoperta delle opere d’arte queer alla Pinacoteca di Brera, ci imbatteremo in San Sebastiano, simbolo di coraggio e speranza, nella commovente intimità dell’Ultima Cena, nella profonda amicizia ritratta nel Ritratto di Moisè Kisling e nell’amore al di là del convenzionale nell’Olimpo di Appiani.
Quindi, accomodatevi mentre vi guidiamo attraverso le sale della Pinacoteca di Brera, svelandovi le storie di queste opere straordinarie e la loro rilevanza all’interno della comunità LGBTQIA+.
“San Sebastiano” di Dosso Dossi: icona di coraggio e speranza
Una delle opere più affascinanti che adornano la Sala XXI della Pinacoteca di Brera è “San Sebastiano”, un ritratto realizzato da Dosso Dossi, pseudonimo di Giovanni Francesco di Niccolò Luter.
Artista attivo alla corte ferrarese degli Este nel primo Cinquecento, Dosso Dossi ha impresso nella sua opera un’interpretazione potente e commovente di questo santo, creando un legame indissolubile tra la figura di San Sebastiano e la comunità LGBTQ+.
San Sebastiano, un santo martire dell’era romana, è spesso rappresentato nelle arti come un giovane legato a un albero e trafitto da frecce, simbolo della sua esecuzione per aver difeso la sua fede. Tuttavia, oltre a questo, San Sebastiano è emerso come una delle icone gay più importanti, tanto da essere definito da molti come il Protettore degli omosessuali. Questo collegamento tra San Sebastiano e l’omosessualità risale al Novecento e sembra essere stato originariamente formulato dallo scrittore belga Georges Eeckhoud nel 1909.
L’iconografia di San Sebastiano è diventata un simbolo potente di resistenza, sofferenza e speranza per la comunità LGBTQ+. Le sue immagini sono state spesso utilizzate per esprimere sia la lotta contro la persecuzione e la discriminazione, sia la celebrazione della bellezza e della sensualità maschile. Questa connessione è stata successivamente ripresa e sviluppata da vari artisti e scrittori, tra cui il celebre poeta italiano Gabriele D’Annunzio, e in tempi più recenti dal fotografo contemporaneo David LaChapelle.
L’opera di Dosso Dossi a Brera cattura brillantemente la forza e la vulnerabilità di San Sebastiano, offrendo un ritratto affascinante che risuona profondamente nella comunità LGBTQIA+. Il coraggio di San Sebastiano nel rimanere fedele a se stesso nonostante le persecuzioni offre un messaggio di speranza e resilienza che rimane altrettanto pertinente oggi.
LEGGI ANCHE: Omosessualità nell’arte: un ponte tra passato e presente
“Ritratto di Moisè Kisling” di Amedeo Modigliani: un’amicizia nell’arte
Fra le sale della rinomata Pinacoteca di Brera di Milano, potrai ammirare una vasta gamma di opere d’arte, ognuna con la sua storia unica e fascino innato. Fra queste, il “Ritratto di Moisè Kisling” di Amedeo Modigliani si distingue per la sua intensa espressione di amicizia e rispetto artistico.
Amedeo Modigliani, un artista italiano di origini ebraiche, è noto per la sua unica e distintiva interpretazione del ritratto e dell’arte figurativa. In quest’opera, la sua amicizia con l’artista polacco Moisè Kisling diventa il fulcro dell’opera, tessendo una rete di affetti e relazioni che va ben oltre il semplice dipinto.
Situato nel cuore del quartiere bohémien di Montmartre a Parigi, lo studio dove Modigliani ha dipinto il ritratto di Kisling era un luogo di incontro per artisti di ogni tipo, tra cui Toulouse-Lautrec, Van Gogh, Picasso, Salvador Dalì e, ovviamente, Modigliani e Kisling. Questo luogo, celebre per essere stato il centro del Moulin Rouge e del famoso cabaret Le Chat Noir, era anche un punto di ritrovo per la comunità LGBTQ+, con luoghi come il Monocle, uno dei più famosi bar lesbici della storia europea.
Nonostante non sappiamo con certezza l’orientamento sessuale di Modigliani o Kisling, il loro rapporto di profonda amicizia e rispetto reciproco trascende le convenzioni sociali e offre un’interpretazione aperta della loro relazione. Questo ritratto ci dà un assaggio della cultura artistica del Montmartre del tempo, che spesso sfidava le norme sociali e offriva un rifugio per coloro che si sentivano diversi.
Il “Ritratto di Moisè Kisling” è quindi non solo un superbo esempio del talento artistico di Modigliani, ma anche un simbolo della forza dell’amicizia e del rispetto reciproco, trascendendo i confini dell’arte e offrendo un’affascinante finestra su un’epoca di espressione libera di sé stessi e sfida alle convenzioni.
LEGGI ANCHE: Alla Pinacoteca Ambrosiana per scoprire la sua storia LGBTQ+
“Ultima Cena” di Daniele Crespi: un tocco di omoaffettività
L’Ultima Cena, uno degli eventi più significativi del Nuovo Testamento, è stata ritratta da innumerevoli artisti attraverso i secoli. Questo momento cruciale, in cui Gesù condivide un ultimo pasto con i suoi discepoli prima della sua crocifissione, è stato interpretato in molti modi diversi, ma uno dei più toccanti può essere trovato nella Sala XXX della Pinacoteca di Brera, dove è esposta l’interpretazione del pittore lombardo Daniele Crespi.
Crespi, un artista del Seicento noto per la sua sensibilità emotiva e la sua attenzione al dettaglio, ha preso la tradizionale rappresentazione dell’Ultima Cena e l’ha infusa di omoaffettività. Nella sua opera, vediamo il discepolo Giovanni che si poggia amorevolmente sulla spalla di Gesù, in un gesto che evoca una forte connessione emotiva, quasi come fosse un amante. Questa rappresentazione di un affetto così palpabile tra Gesù e Giovanni è una delle interpretazioni più affascinanti e discusse dell’Ultima Cena.
La vita di Crespi, vissuta tra i primi e la metà del Seicento, fu intensa e proficua, nonostante la sua prematura scomparsa a causa della peste. Nelle sue opere, si percepisce un’attenzione straordinaria per l’espressività e la profondità dei sentimenti umani, qualità che rendono la sua Ultima Cena un’opera straordinariamente vivida e toccante.
La raffigurazione di Crespi di Giovanni e Gesù rappresenta un intenso legame tra i due, offrendo una lettura che va oltre la comune interpretazione religiosa, permettendo una lettura più aperta e contemporanea. Questo contatto fisico, insieme all’intima connessione emotiva che trasmette, ha reso questa opera particolarmente apprezzata dalla comunità LGBTQ+, che vi ha visto un’implicita celebrazione dell’affetto e dell’amore tra persone dello stesso sesso.
“L’Olimpo” di Andrea Appiani: l’amore oltre ogni confine
Nella profondità delle sale della Pinacoteca di Brera, fra le molteplici opere d’arte che impreziosiscono le pareti, troverai “L’Olimpo” di Andrea Appiani, un dipinto che va oltre il convenzionale, narrando una storia d’amore eterna, che ha eco nei secoli.
Andrea Appiani, uno dei principali esponenti dell’arte neoclassica italiana, ha espresso in questa opera la sua maestria nel combinare la forma classica con un messaggio profondamente evocativo e universale. Il dipinto, ospitato nella Sala XXXVII, cattura l’attenzione per il suo titolo completo: “L’Olimpo (Giove incoronato di mirto dalle Ore porge a Ganimede il nappo per ricevere il nettare)”.
L’opera presenta un Giove maestoso e circondato da divinità femminili, mentre il giovane Ganimede si trova in ginocchio di fronte a lui, porgendogli una brocca contenente il nettare divino. Al primo sguardo, l’opera sembra essere un classico quadro di arte neoclassica, tuttavia, si nasconde molto di più dietro queste pennellate.
La vera essenza del quadro risiede nel racconto di un amore, quello tra Giove, il re degli dei, e Ganimede, il più bello dei mortali. La leggenda vuole che Giove, follemente innamorato del giovane, si trasformò in un’enorme aquila per portarlo con sé sull’Olimpo e farlo diventare un dio. Questa trasformazione, sebbene fosse causa di disappunto per Hera, la moglie di Giove, ha permesso a Ganimede di trascendere la sua mortalità e divenire una stella della costellazione dell’Acquario.
“L’Olimpo” di Andrea Appiani, quindi, va oltre il semplice dipinto neoclassico, diventando un simbolo potente dell’amore in tutte le sue forme. L’opera rappresenta un pilastro fondamentale nell’esplorazione della rappresentazione LGBTQ+ nella storia dell’arte.
Quando ti troverai davanti a quest’opera, permetti alla tua mente di esplorare la storia che si cela dietro il dipinto. Lascia che l’amore tra Giove e Ganimede ti ispiri, ricordando che ogni forma d’amore è preziosa e degna di essere celebrata. Il valore di “L’Olimpo” di Appiani non risiede solamente nella sua bellezza artistica, ma anche nel messaggio potente che trasmette, invitando ciascuno di noi ad amare liberamente e senza pregiudizi.