“L’idea del mix basato sulla sincronizzazione dei ritmi, il singolo in 12 pollici, il dj come star: è stato tutto inventato dagli omosessuali… Anche il remix fu inventato dai gay e stesso dicasi per la house, prodotta a Chicago da noti personaggi gay”, scrive il Guardian, che individua nella musica da discoteca radici storiche LGBTQ con diversi punti in contatto con i movimenti per i diritti civili.
Quindi, la maggior parte della musica che balli nei club è riconducibile alla rivoluzionaria e controcorrente cultura LGBTQ, soprattutto la disco dance, la house, la techno e tutta la moltitudine di sottogeneri. Tuttavia, tanti artisti che oggi producono dance music sono completamente ignari di queste radici, e spesso lontani dal voler introdurre un qualsivoglia accenno di rivendicazione, di denuncia e reazione ad un sistema che tende sempre a reprimere le differenze.
Se ai suoi albori la dance music era sinonimo di rottura degli schemi, oggi pare che il desiderio di liberazione e di capovolgimento degli standard imposti non sia una necessità per gli artisti mainstream. Come afferma Luis Manuel Garcia in un articolo apparso su Resident Advisor “quando l’house si è trasformata in acid-house e poi in techno e in tutti i suoi sottogeneri, in qualche modo il popolo queer è scivolato fuori dalla narrazione ed è scomparso”.
Ma nulla è perduto. Il panorama underground della musica LGBT elettronica, polemica e contestatrice, è oggi più che mai vivace. Ci sono molti artisti LGBTQ che stanno mettendo in atto una vera rivoluzione.
Oggi vogliamo farvi conoscere un’artista italiano, Luke S. Doveson, che abbiamo scoperto su Instagram (https://www.instagram.com/lukesdoveson/?hl=it) e la cui musica ci ha sin da subito affascinato per la sua capacità di contrastare i suoni di tendenza con poca anima e sempre uguali a se stessi.
L’idea di Luke è quella di continuare a “scrivere delle robine polemiche e froce che facciano un po’ dimenarsi” e possiamo confermare che ci è riuscito alla perfezione!
In questo momento storico della musica italiana, piuttosto omologato e privo di colore, ascoltare l’album Fuckadorno (https://lukesdoveson.bandcamp.com/releases) è stata una vera boccata d’aria fresca!
Ecco qui di seguito la trascrizione della nostra chiacchierata.
Ciao Luke. Presentati ai nostri lettori.
Luke S. Doveson nasce nel 1981 in un paesino economicamente depresso dell’Inghilterra del Nord per trasferirsi in un paese depresso della Brianza, la prima di una serie di pessime decisioni.
Da bambino ci prova con un violino, ma viene rifiutato. Questo rifiuto gli lascia un perenne senso di sospetto misto a soggezione per gli uomini troppo belli.
Si innamora della filosofia, con cui, prendendo esempio dalle amiche lesbiche, inizia una bellissima coabitazione di qualche anno. Il divorzio – inevitabile, quando Foucault cerca di aprire la loro coppia – è una tragedia. Ancora oggi continua a pagare gli alimenti.
Passa alla linguistica, scopre che le lingue sono fluide, aperte e un po’ puttane e decide di studiare Polari.
Si interessa a un po’ di tutto, fa tanti lavori.
Comincia a fare musica elettronica ai gloriosi tempi di Myspace. La strumentazione ha sempre incluso rigorosamente un computer poco adatto, un paio di cuffie usate come microfono, una batteria raffazzonata, una vecchia tastiera e il sintetizzatore vocale di Microsoft Word.
Influenze musicali ce ne sono a iosa, ma i grandi amori restano Björk, Radiohead, Patrick Wolf, John Grant, Pansy Division, Kele Okerke, Einstürzende Neubauten, Anohni, Rufus Wainwright e Kate Bush. Peccato non ce ne sia traccia nella sua musica.
Il sogno nel cassetto è di scrivere un pezzone su Sartre che faccia muovere il culo a tutti. Sa già che invece farà la fine di Jamiroquai, ma senza i suoi soldi.
Scrivo roba da sempre, ma solo ora ho deciso, un po’ timidamente, di condividerla. L’idea è di scrivere delle robine polemiche e froce che facciano un po’ dimenarsi.
Com’è nata la tua passione? Che musica fai?
Sono cresciuto in una casa dove c’era molta musica classica – fino a 13 anni Bach era il mio orizzonte di senso. Poi un’amica s’è presa a cuore il mio isolamento sociale e mi ha fatto un mixtape con Nine Inch Nails e Pantera e da lì ho divorato qualsiasi cosa rumorosa potessi scovare.
Faccio musica quando ne ho bisogno, il più delle volte lavoro a tracce strumentali, ambient o industrial. Quando sto particolarmente bene o sono particolarmente arrabbiato provo a scrivere pezzi più danzerecci. Soprattutto quando sono arrabbiato.
Quali sono i tuoi progetti attuali e per il futuro?
Al momento mi sto concentrando sulla scrittura di giochi (escape the room, investigazione) con il mio compagno – è uno dei nostri grandi amori.
Musicalmente, sto lavorando a due cose – un set di pezzi elettronici sui pianeti minori del sistema solare e un nuovo set di canzoni sui “mostri” della mia vita (omofobia, depressione, ansia, dipendenze, perfezionismo, la Brianza).
Penso che la mia prima collezione di canzoni (Fuckadorno) abbia bisogno di un po’ di make-up e di brillantini, ma ho deciso che la lascio libera con tutti i suoi difetti. Più che altro, è un atto terapeutico.
Qual è il significato che si nasconde dietro ad alcune tracce di questo album?
“Junkie” è il dolore di molti di noi uomini gay che dobbiamo essere perfetti, super, fashion, colti, intelligenti… solo perché pensiamo di avere bisogno di essere costantemente validati dall’esterno.
“Troubled Gender” è frutto di un anno passato a vedere le discussioni in Uk fra attivisti trans e terf. Il mio disagio che voglio esprimere è: io faccio fatica a vedere il genere come parte di me, come una identità, ma faccio fatica a capire il punto di vista del “femminismo radicale” che diventa radicalmente esclusivo delle persone trans. E quindi l’unica cosa che posso fare è cantare la contraddizione, con un lungo elenco di cose che possono essere “maschili” o “femminili” e dire, boh, per me siamo tutti genderless. Butler ha scritto il suo libro fodamentale dal titolo “gender trouble”, da lì il titolo “troubled gender”
Cosa pensi del panorama della musica LGBT+ attuale? Conosci altri artisti italiani e stranieri da consigliarci per un ascolto?
Non so se esista un “panorama” uniforme. Amo il fatto che oggi (penso alla mia adolescenza negli anni ’90) ci siano moltissimi/e artisti/e out, e si possa scegliere dal pop degli Years & Years alla musica più sperimentale di Sophie o Arca o la classica contemporanea di Nico Muhly.
Io tendo a stare bene in compagnia di altri uomini gay che sappiano cantare delle nostre esperienze con una voce riconoscibile – penso soprattutto a John Grant e a Rufus Wainwright. Ma se voglio darmi la carica i primi nomi che mi vengono in mente… Le Tigre, Matmos, Patrick Wolf, Queercum, Pansy Division, Le1f, Peaches.
Com’è il tuo rapporto con i social ed il Web? Dove possiamo seguirti?
Pessimo. Ho fatto e disattivato almeno una ventina di profili, fra Fb, Instagram, Twitter. Trovo sia molto difficile mantenere una parvenza di sanità mentale in spazi che sono progettati per fare leva su meccanismi emotivi così basilari – rabbia, vergogna, sesso, aspirazione. Mi manca tantissimo MySpace, ma forse perché mi manca essere così giovane. Ho una pagina su Bandcamp e una su Instagram, che mi viene costantemente censurata.
Su soundcloud (https://soundcloud.com/user-837958346) metto un po’ di esperimenti a caso.
Grazie Luke S.Doveson. In bocca al lupo per tutti i tuoi progetti! Aggiornaci a riguardo.