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Montgomery Clift, il più lungo suicidio nella storia del cinema

Redazione by Redazione
29 Ottobre 2021
Reading Time: 4 mins read

Hollywood, stelle che salgono e altre che cadono. Ne abbiamo viste tante nel corso degli anni: incidenti sul set, dipendenze fatali, morti improvvise, fino a suicidi che hanno lasciato un segno nel pubblico.

Una delle storie più dolorose e struggenti nella Hollywood “classica” è quella del divo Montgomery Clift: nato a Omaha il 17 ottobre del 1920, salito alla ribalta grazie a talento e presenza elegante, con un viso delicato e capace di incarnare dal principio il nuovo filone di personaggi giovani e tormentati in cui gli fecero da successori tra tutti James Dean e Marlon Brando. Ed è proprio a quel volto che parte la disperazione di un uomo cui fu strappata la propria carriera in una notte di primavera, un incidente che se non fu mortale per l’attore, lo fu di certo per la sua anima.

Era il 12 maggio del 1956 e l’attore rientrava da un party che aveva organizzato la sua cara amica Liz Taylor nella sua casa insieme al secondo marito Michael Wilding. Una festa che la star lasciò prima che terminasse, consumando un solo bicchiere di vino. Anche il suo amico Kevin McCarthy abbandonò la serata in contemporanea, assistendo al tragico incidente che fece sbandare Montgomery Clift con la sua macchina: un momento di paura che vide l’auto avanzare in maniera incoerente fino a fermarsi su un palo, facendo sbattere l’attore al suo interno e causandogli le ferite che segnarono l’inizio di un percorso verso l’inferno.

Montgomery Clift non riuscì più a superare le conseguenze di quella serata, iniziando ad assumere alcol e droghe, che andarono ad aggravare il suo stato emotivo già minato dal dover nascondere la propria omosessualità. Uno squarcio, quello sulla guancia sinistra, che gli tagliò la parte laterale del labbro, paralizzando parte dei muscoli di quel lato della faccia. Un dolore perenne nell’anima con cui l’attore fu costretto a convivere fino alla sua morte, e definito “il più lungo suicidio della storia del cinema” dal fondatore dell’Actors Studio Robert Lewis, amico dell’attore.

Dal momento del fatidico incidente fino alla conclusione della propria vita, per Montgomery Clift tutto cambiò: il viso da poeta, com’era stato definito in precedenza, divenne il riflesso di quella fatidica notte, rallentandogli la convocazione per nuovi ruoli, non solo, per le cicatrici visibili ma per suo atteggiamento autodistruttivo e poco professionale, peggiorato da una depressione che diventò, con gli anni, sempre più oppressiva.

Molti i film interpretati dall’attore. Il suo esordio nel 1948 in Odissea tragica di F. Zinnemann, aggiudicandosi subito una candidatura all’Oscar, cui fa seguito Il fiume rosso di H. Hawks, nella parte del figlio antagonista di John Wayne. Dopo aver sostenuto la parte di un pretendente avido e senza scrupoli in L’ereditiera di W. Wyler del 1949, Clift evidenzia, in Un posto al sole di G. Stevens del 1951, il prototipo dell’eroe negativo, che sfocerà poi in una serie di caratterizzazioni in cui predominano come denominatore comune il silenzio e l’introversione.

Fratello maggiore di Marlon Brando e James Dean, e allievo, come loro dell’Actors’ Studio di New York, Clift incarna la gioventù americana del dopoguerra, con le sue ansie e i suoi sbandamenti, le sue frustrazioni e i suoi fallimenti affettivi e sentimentali. Il suo atteggiamento non denota però né sfida né provocazione, bensì un malessere che stenta a esprimersi a parole e trabocca invece dai lineamenti del volto e dallo sguardo luminoso e sfuggente a un tempo.

E durante le riprese del film di F. Dmytryck L’albero della vita del 1957 che l’attore ha il fatidico incidente. Notevole la sua interpretazione del sacerdote vincolato all’etica religiosa in Io confesso di Hitchcock, così come quella dello psichiatra che salva Elizabeth Taylor in Improvvisamente l’estate scorsa di J. L. Mankiewicz del 1958, adattamento cinematografico di una delle più perverse opere di Tennessee Williams, è un’opera intrisa di temi scottanti quali l’omosessualità e la follia, i cui contorni furono qui sfumati dallo stesso Williams e dallo sceneggiatore Gore Vidal.

Una straordinaria Katharine Hepburn interpreta l’aristocratica Violet Venable che vuole sbarazzarsi attraverso una lobotomia della nipote Catherine, Elizabeth Taylor, ritenuta pazza in seguito alla morte, durante le vacanze estive, del cugino Sebastian, unico e adorato figlio della signora Venable. La ragazza, infatti, potrebbe custodire una verità che costerebbe cara alla fama e alla rispettabilità della nobildonna.

I colloqui con lo psichiatra Cukrovicz, Montgomery Clift, lasciano emergere, che Catherine, traumatizzata, non sia pazza e, nel corso di un confronto con l’anziana madre di Sebastian, la verità uscirà dalle sue labbra in tutta la sua crudezza. La censura proibì di pronunciare la parola “omosessualità”, e di dare un volto al personaggio di Sebastian, che, infatti, appare solo di spalle.

La regia di classe di Mankiewicz riuscì a costruire un’atmosfera d’isterismo infuocato quando Catherine inizia a mettere a fuoco i propri ricordi, rivelando che un’orda inferocita inseguì suo cugino per le vie del paese dove si trovavano in vacanza, dilaniandolo e divorandolo.

Il segreto che tormentava la quiete interiore della ragazza esplode prepotentemente dalla sua memoria, sconfiggendo la superbia di Violet che, incapace di sopportare il peso della verità, impazzisce.

Negli anni a seguire le apparizioni di Montgomery Clift diventano sempre più rare e non sempre i film in cui accetta di partecipare meritano la sua presenza. Importante è il suo contributo in Fango sulle stelle di E. Kazan del 1960 e a due film di J. Huston, Gli spostati del 1961 e Freud, passioni segrete del 1962, nei quali la sua recitazione affina e approfondisce quel tono d’intensa drammaticità presente nell’attore sin dagli esordi.

Montgomery Clift muore di un attacco cardiaco nel suo appartamento a New York il 23 luglio 1966all’età di soli quarantasei anni. Un interprete che ha regalato al mondo del cinema una lunga serie di ruoli indimenticabili, un’icona che il pubblico ricorda sempre, con o senza le sue cicatrici, con e senza quella sofferenza nell’anima che l’ha seguito per un lungo tratto della sua vita e che l’attore ha trasportato, involontariamente, sul grande schermo.

Di Giorgio Riccitelli

COURTESY SCENE FILM – Columbia Pictures Corporation, Horizon Films, Academy Productions, Camp Productions

 

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