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L’Omocausto: la storia della persecuzione degli omosessuali durante la Seconda Guerra Mondiale

Redazione by Redazione
7 Ottobre 2021
Reading Time: 3 mins read

In occasione del Giorno della Memoria, vogliamo parlarvi della persecuzione e dello sterminio degli omosessuali durante la Seconda Guerra Mondiale; una storia che per decenni è stata dimenticata e che oggi prende il nome di “Omocausto”.

Nonostante in Germania esistesse una legge che puniva l’omosessualità, il cosiddetto Paragrafo 175 del Codice Penale tedesco, dalla fine dell’800 fino alla presa del potere di Hitler, si sviluppò una crescente comunità omosessuale, i relativi gruppi di incontro e associazioni per la promozione dei diritti gay e una serie di attività commerciali quali bar, ristoranti, hotel… Fra le istituzioni più importanti si ricordano il Wissenschaftlich – humanitäres Komitee (Comitato scientifico umanitario) e l’Istituto di Scienze Sessuali fondati Magnus Hirschfeld, un medico sessuologo omosessuale protagonista del primo movimento gay in Germania.

Con il diffondersi dell’ideologia nazista e con la crisi economica post guerra degli anni ’20 la comunità gay tedesca inizia a subire le prime violenze fino a giungere al culmine con il loro sterminio durante il regime di Hitler.

In particolare, nel 1933 vennero presi una serie di provvedimenti come l’abolizione del segreto epistolare, l’interdizione della stampa gay, la chiusura dei locali notturni, vennero bandite le associazioni gay e iniziarono ad essere deportati i primi omosessuali nei campi di concentramento. Nel 1934, con l’istituzione della Centrale dell’Impero per combattere l’omosessualità, iniziarono a redigere le “liste rosa” dove venivano raccolti tutti i dati relativi agli omosessuali. Nel 1935 il Paragrafo 175 fu rafforzato aumentando le pene per omosessualità da 5 a 10 anni. Dal 1936 gli omosessuali dovettero portare cucito sul petto un triangolo rosa in segno di riconoscimento.

La loro posizione da internati omosessuali fu tra le peggiori all’interno dei campi di concentramento. Isolati dal resto dei prigionieri, costretti ai lavori più duri e sottoposti ad assurdi esperimenti clinici per la speranza di una loro “guarigione”, di una loro “conversione” alla normalità. Addirittura, vennero spesso sottoposti a castrazione “volontaria” come segno di “guarigione” con la promessa di evitare l’internamento, la galera o con la promessa di tornare a casa dai campi una volta effettuata l’operazione, cosa che spinse tanti di loro ad accettare.

Secondo quanto riportato dalle fonti storiche di Arcigay: “In base ai dati più attendibili, il numero di persone arrestate in base al Paragrafo 175 tra il 1933 e il 1945 è di circa 100.000. Di queste, 60.000 scontarono la pena in carcere, e dai 10.000 ai 15.000 furono internate nei campi di concentramento. Degli internati, si calcola che il numero dei morti sia compreso tra i 6.000 e ai 9.000. In base ai calcoli dello storico Rudiger Lautmann, la mortalità dei triangoli rosa è una delle più alte tra le varie categorie di internati: il 60 per cento, la maggior parte durante il primo anno di internamento”.

La difficoltà di stabilire numeri concreti deriva dal fatto che la presenza degli omosessuali nei lager era praticamente ignorata e spesso furono incriminati con reati diversi da quello dell’omosessualità come altri non gay furono incriminati secondo il Paragrafo 175.

Con la fine della guerra, la situazione non migliorò per gli omosessuali sopravvissuti che dovettero continuare a scontare la pena imposta dal Paragrafo 175 in carcere secondo quanto stabilito dalle autorità alleate. Solo nel 1994 tale Paragrafo venne abrogato ma bisognerà attendere fino al 2000 per le scuse da parte del Governo tedesco agli omosessuali per quanto subito dal 1933 al 1969.

 

Fonte Arcigay: https://www.arcigay.it/memoria/Divulgazione/OmocaustoITA/Omocausto2006-2009.pdf

 

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