Tutto sul capolavoro “La morte a Venezia” di Thomas Mann e sulla sua rappresentazione al cinema da parte del regista Luchino Visconti
“Nulla esiste di più singolare, di più scabroso, che il rapporto fra persone che si conoscano solo attraverso lo sguardo… Tra loro si forma un fluido d’inquietudine e di curiosità esacerbata, un isterico bisogno, inappagato o innaturalmente represso, di conoscenza e di mutuo scambio, e soprattutto, infine, una sorta di ansioso riguardo: poiché l’uomo ama l’uomo e lo onora finché non è in grado di giudicarlo; e dall’incompleto conoscersi nasce il desiderio.”
Queste parole, tratte dal romanzo breve “La Morte a Venezia” (titolo originale “Der Tod in Venedig”) del 1913 di Thomas Mann, riassumono la relazione tra i due protagonisti del libro, attorno alla quale ruota l’intera storia. È una relazione fatta soltanto di sguardi silenziosi quella tra Gustav Von Aschenbach, un famoso autore cinquantenne, desideroso di viaggiare e di riprendersi dai suoi problemi di salute, ed il giovane Tadzio, un adolescente in soggiorno al Lido di Venezia, al Grand Hotel des Bains con la sua nobile famiglia polacca; una relazione che provoca in Aschenbach un “intimo turbamento”, un vero e proprio amore, vissuto interiormente ed in maniera esclusivamente platonica, nei confronti del ragazzo dal “volto pallido e gentilmente assorto, incorniciato dai capelli biondo miele”, dall’ “espressione soave e divina di gravità”, che ricorda quella delle “sculture greche di epoca aurea”.
Questo classico della letteratura omosessuale, dichiaratamente autobiografico, è un piccolo capolavoro, facilmente leggibile, che pone al centro la bellezza non soltanto dei personaggi, ma anche dei suoi luoghi, ovvero quelli di una Venezia remota che, seppur nel racconto sia descritta come una città cupa, decadente, avvolta dalla nebbia, affetta da aria pestilenziale e da “un’afa repugnante” che pesa sulle calle, risulta al contempo splendida, sempre in grado di suscitare fascino per via dei suoi colori tremolanti, dei ponticelli e delle viuzze, che sembrano immergersi in uno “smemorato incantesimo”. Nel romanzo breve Mann si sofferma spesso sulle attrattive peculiari della città. Oltre allo storico Hotel Des Bains, descritto in ogni particolare da parte del protagonista, sono menzionati molti altri luoghi suggestivi e simboli di Venezia: la chiesa di San Marco, nella quale Aschenbach entra per pedinare il giovane amato e nel cui interno dorato e semioscuro scorge “l’oggetto delle sue ansie in atto devoto su inginocchiatoio” fermandosi nel fondo, “sullo sbocconcellato pavimento a mosaico”; la “mirabile campata marmorea” del ponte di Rialto, che osserva dopo aver “oltrepassato i giardini pubblici e la grazia principesca della piazzetta”; la gondola, che suscita nel protagonista un “senso segreto di disagio ed avversione”, in quanto lo strano legno “nero come nere al mondo sono soltanto le bare” evoca alla mente un corteo funebre, “il silenzio dell’ultimo viaggio”.
Da questo classico è stato tratto un film culto, entrato nella storia del cinema: “Morte a Venezia” (1971) di Luchino Visconti, anch’egli dichiaratamente omosessuale ed il cui orientamento trova riferimento in un’ampia fetta della sua filmografia.
Sono poche le differenze del film rispetto al romanzo breve di Thomas Mann: ad esempio, nel film, Aschenbach (interpretato da Dirk Bogarde) è compositore, invece di scrittore, ma è una scelta mirata in quanto Thomas Mann si era ispirato a Gustav Mahler, il celebre musicista, per creare questo personaggio, le cui composizioni fanno anche da colonna sonora. Per il resto, il film è davvero fedele al libro nella rappresentazione sia dei personaggi sia dei luoghi e la tematica omosessuale ancora più evidente, seppur non sia il fulcro della rappresentazione. Il film non parla in alcun modo di sessualità, ma la rappresenta come mero espediente narrativo. Visconti si approccia al capolavoro di Mann in maniera puramente letteraria. Ancora più dello scrittore, il regista fa leva sulle problematiche relative all’arte e al raggiungimento della bellezza, dell’amore assoluto: essi possono essere risolti soltanto con la malattia e la morte dell’artista. Colui che accompagna il protagonista verso questa risoluzione sarà appunto Tadzio (l’attore sedicenne Bjorn Andresen) che alla fine del film, come nell’opera di Mann, si trasforma in angelo della morte: “a lui parve che il pallido e gentile psicagogo laggiù gli sorridesse, gli accennasse, staccando la mano dall’anca a indicare un punto lontano, lo precedesse a volo verso benefiche immensità. E come già tante volte aveva fatto, si dispose a seguirlo”.
Ad ogni modo è proprio la bellezza efebica del giovane aristocratico Tadzio ad ossessionare Aschenbach, a farlo sentire fortemente in colpa tanto da minacciare a sé stesso più volte di lasciare la città, ma a spingerlo allo stesso tempo a seguire ogni movimento del ragazzo, persino a pedinarlo mentre il giovane passeggia con la madre (interpretata da Silvana Mangano), le sorelle e la badante tra le calle veneziane. Aschenbach rimane colpito e smarrito di fronte ad una bellezza così pura quando Tadzio gioca col cugino Jashu (interpretato dal bellissimo Sergio Garfagnoli, dal fascino mediterraneo), quando, ad esempio, una volta viene da questi baciato sulla guancia, mentre i due si incamminano lungo la riva “cingendosi le spalle”.
L’aver dato rilievo all’omosessualità del protagonista (tenendo a mente che il film è stato realizzato negli ani ’70, dove questa tematica era ancora piuttosto un tabù), il non aver dato importanza ai dialoghi, così come l’aver accompagnato gran parte del film con l’Adagietto della V Sinfonia di Mahler, malinconico e lento, rendono il film decisamente molto vicino ad un capolavoro. Un film commovente che, per essere maggiormente compreso, ha necessariamente bisogno, prima della visione, di una lettura del racconto lungo di Thomas Mann.
Ma nella Venezia contemporanea c’è ancora spazio per potersi innamorare e vivere un sentimento così intenso come quello rappresentato nelle opere di Mann e Luchino Visconti? O semplicemente c’è la possibilità di trascorrere serate di divertimento dedicate alla comunità LGBT? La città conosciuta in tutto il mondo per la sua bellezza presenta diversi locali friendly dove poter mangiare e bere in compagnia o dove divertirsi per il dopo cena. Per l’aperitivo segnaliamo il winebar Te Amo (in Rio Terà de la Mandola, n.3795). Per una serata in discoteca ti consigliamo di tenere d’occhio su Facebook le serate “Trash&Chic” del sabato sera, molto partecipate ed animate da drag queen, dj ed ospiti internazionali.
Di Giorgio Romano Arcuri