L’essenza del corpo nella fotografia di Mustafa Sabbagh
La sensualità è nella mente di chi guarda o nel soggetto che viene guardato? Mustafa Sabbagh mette davanti a sé e al suo obbiettivo un corpo umano, nessuna entità astratta, niente altro che un individuo. Noi lo vediamo nella sua bellezza e nella sua carnalità, in un’estetica che ha digerito l’universo delle immagini intellettuali e sublimi così come gli scarti trucidi dei mattatoi.
Siamo messi davanti a un voyeurismo dichiarato, a una poetica che non permette astensione, tantomeno fraintendimenti circa la nostra propensione a provare o meno empatia con un’immagine. Lo sguardo del fotografo, che registra un momento della realtà – forzatamente non uno qualsiasi – ci invita a penetrare, a toccare, a godere di una trasfigurazione di codici che non è proprio surrealtà, e che parla a noi (forse già di noi) attraverso linguaggi ed emozioni che spesso non lasciamo emergere in superficie, ma che ben riconosciamo. È indubbio, non c’è altra scelta che sentire la dolce e maleodorante natura dell’intimità, e se ci pensiamo bene non è poco.
L’artista procede con il suo lavoro: interpella il corpo umano, la sua carne, le sue forme, e lo obbliga all’atto performativo del posare, come se fosse marmo vivo, già risultato di una trasformazione. Eccolo lì, l’uomo, il corpo nudo, spogliato della sua contingenza, è nella sua posa solenne, antinaturale ma vera, e ci suggerisce il punto migliore per permetterci di osservarlo. Sembra un idolo, che lo sappia o meno. Ogni soggetto è calato in una dimensione altra, in una ricerca senza soluzione dell’essenza dell’individuo, della sua natura più profonda, nonostante la maschera e l’artificio che l’artista ha voluto far indossare al modello. Malgrado il trucco, il costume, il tableau vivant, oltre gli attributi e i segni, l’artista scuoia sé, la sua coscienza, e arriva a una rappresentazione che vuol fa saltare gli strati epidermici, la pelle, le vene, per arrivare all’anima.
Che ce ne facciamo della verità delle cose se questa non è passata attraverso lo sguardo di una coscienza? La verità sta dunque nella stessa interpretazione della sua essenza, ma la cosa sorprendente è che la verità altro non è che la ricerca di essa, è dunque un’indagine, una domanda, un tendere verso, mai una risposta.
Mustafa Sabbagh, Onore al nero/untitled, 2014, stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA, courtesy: Mustafa Sabbagh
Mustafa Sabbagh (1961), italo-giordano, è stato assistente di Richard Avedon e ha insegnato al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra. Dopo anni passati come fotografo di moda, ha cominciato a esporre stabilmente le sue fotografie in gallerie e musei internazionali a partire dal 2010, aprendosi anche alla video-arte e al teatro.
Mustafa Sabbagh, Onore al nero/untitled, 2014, stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA, courtesy: Mustafa Sabbagh
Mustafa Sabbagh, ArtLemma, 2014, stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA, courtesy: Mustafa Sabbagh/Traffic Gallery (Bergamo)
Mustafa Sabbagh, Onore al nero/untitled, 2014, stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA, courtesy: Mustafa Sabbagh
Mustafa Sabbagh, Onore al nero/untitled, 2014, stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA, courtesy: Mustafa Sabbagh
Mustafa Sabbagh, Memorie liquide/untitled, 2012, stampa fotografica fine art su dibond, ed. di 5 + 1 PA, courtesy: Mustafa Sabbagh/Fondazione Ferrara Arte (Ferrara)
Mustafa Sabbagh, Chat room, 2015, 2 HD video, color, loop – veduta dell’installazione, courtesy: Mustafa Sabbagh