Si è da poco conclusa la 56° stagione 2021 di rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa prodotte dalla Fondazione Inda. Tra queste le Baccanti di Euripide con la regia di Carlus Padrissa della compagnia La Fura dels Baus.
Le Baccanti, ultima tragedia scritta da Euripide andata in scena per la prima volta nel 406 a. C. poco dopo la morte dell’autore, è un’opera dall’interpretazione complessa che, probabilmente, ha come tema principale la razionalità dell’uomo di fronte alla religione, o meglio la sua impotenza davanti al mistero del divino.
Le Baccanti (tradotta da Guido Paduano) narra della vendetta di Dioniso (qui, come già in Ingmar Bergamn, interpretato da un’attrice: Lucia Lavia), dio dell’ebrezza e della fecondità, nei confronti dei tebani che hanno dubitato della sua natura divina. Essi, infatti, lo considerarono soltanto il figlio di un mortale e non di Zeus, la massima autorità dell’Olimpo. Ed è così che Dioniso stravolse le menti delle donne della città che, rifugiatesi sul monte Citerone, si abbandonarono al culto e ai riti orgiastici del dio lasciando le loro case e i loro sobri costumi. A farne le spese fu principalmente Penteo, re di Tebe, l’unico che si oppose a quel culto e allo slancio bacchico e che per un inganno di Dioniso fu poi sbranato e ucciso dalle invasate baccanti che lo scambiarono per un leone. Tra esse c’era Agave, la madre del re, accortasi troppo tardi che la testa che aveva brandito come trofeo era in verità quella del figlio. La vendetta di Dioniso è compiuta.
Niente di più congeniale per Padrissa e La Fura dels Baus, ormai nota compagnia catalana formatasi nel 1979 e contraddistintasi già da subito per un tipo di esperienza teatrale che si può facilmente (e troppo velocemente) definire sperimentale o d’avanguardia. Ma in realtà La Fura è qualcosa di molto più complesso dato che nelle sue rappresentazioni ambisce a una drammaturgia immersiva, a un teatro totale che, grazie all’uso eterogeneo, contaminato e sapiente di musica, scene, coreografia e nuovi media, cerca di catturare la completa sensorialità dello spettatore. Lo fa attraverso un’energia quasi violenta, un particolare contatto senza barriere con il pubblico che vuole arrivare nel fondo delle coscienze per sconvolgerle e che ha di certo la sua genesi ideale nel Primo manifesto del teatro della crudeltà (1932) di Antonin Artaud, importantissimo testo che ha notevolmente influenzato il teatro contemporaneo.
Un approccio estetico che probabilmente, esattamente come la tragedia greca, può avere esiti catartici.
Lo spettacolo è stato registrato da Rai Cultura.