Rupert Everett, iconico Dylan Dog, esordisce alla regia con un film sul celebre autore irlandese.
Un ritratto appassionato che parte dalla fine, non ripercorre cioè in modo agiografico le opere di Wilde ma pone il focus sulla parte finale della sua vita, il tracollo dell’artista che fu, esiliato a Parigi a causa della sua omosessualità. Elemento centrale del tracollo e della vita di Oscar, il processo per le sue “condotte inappropriate” che lo videro costretto ai lavori forzati per due anni.
Nel film compaiono altre figure importanti per la vita di Oscar Wilde: la moglie Costance (interpretata dalla sempre bravissima Emily Watson), Lord Alfred Douglas (nei cui panni ritroviamo il Merlino Colin Morgan) con il quale Wilde ebbe una relazione, che fu alla base del processo a lui intentato.
Del cast fa parte anche il premio Oscar Colin Firth (nel ruolo di Reggie Turner) che con Rupert Everett aveva recitato in “L’importanza di chiamarsi Ernesto” pellicola tratta da una delle più celebri opere di Oscar Wilde.
La vita di Oscar Wilde non ha bisogno di recensioni e neppure le sue opere e tanto meno di censure (ma non va dimenticato che si parla di un’epoca in cui l’omosessualità era illegale). Rupert Everett ne dipinge un ritratto un po’ greve – scordatevi i suoi celebri aforismi – e forse confuso, ma lo sforzo è senz’altro encomiabile.
Motivo di interesse anche un po’ di italianità nel cast tecnico: costumi firmati da Maurizio Millenotti e Gianni Casalnuovo; trucco e parrucco di Lugi Rocchetti e Francesco Pegoretti.
Marco Cevolani