Questo primo di dicembre, in cui ricorre la giornata mondiale contro l’AIDS, avrai probabilmente visto giovani volontari che distribuivano in piazza alcuni volantini informativi sulla malattia del sistema immunitario più diffusa e conosciuta dagli anni ’80 ad oggi. Oppure ti sará capitato di vedere nella Home dei tuoi social network qualche articolo come il nostro o qualche immagine relativa al World Aids Day.
Seppur l’informazione possa esserci in misura maggiore rispetto al passato, quanto davvero tu sai in merito a questa epidemia che nonostante le numerose vittorie degli ultimi anni colpisce ancora molte persone?
Non mettiamo in dubbio certamente le tue conoscenze, ma i dati mostrano quanto ancora nel 2019 resistano false credenze e pregiudizi a riguardo dell’infezione da HIV che può causare la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS).
Nonostante le campagne di comunicazione degli ultimi anni e seppur la scienza le abbia smentite in maniera definitiva, esistono nell’immaginario collettivo ancora delle credenze errate, frutto probabilmente di un’informazione un po’ troppo superficiale e della mancanza di confronto con professionisti del settore che possano dare le giuste coordinate.
In questo articolo vediamo i 3 principali falsi miti su come si trasmette il virus dell’HIV.
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1. Essere sieropositivi equivale a morire presto
Sono ancora molti i giovani che associano ai termini “HIV/AIDS” la parola “morte”. Questo è quanto è emerso da una ricerca di Skuola.net e MSD Italia, in occasione del World Aids Day 2019.
Se anche tu sei convinto che essere un paziente sieropositivo ed un malato di AIDS equivalga ad una morte prematura, ti invitiamo ad abbandonare questa credenza.
Oggi vivere una vita da “positivi” non è più come in passato. I trattamenti antiretrovirali permettono di vivere una vita pressoché normale.
Uno studio pubblicato un paio di anni fa da Lancet, una delle più importanti riviste scientifiche inglesi, afferma che un 20enne con HIV, che inizia a curarsi sin da subito, ha un’aspettativa di vita pari ai propri coetanei HIV-negativi. Grazie alle terapie antiretrovirali, infatti, la quantità di virus nell’organismo viene ridotta e, di conseguenza, anche le sue probabilità di trasmissione.
2. L’AIDS colpisce in prevalenza gli omosessuali
Questa credenza, ancora nel 2019, è dura a morire.
Gli omosessuali, così come le persone detenute, le persone che si drogano per via iniettiva, quelle che si prostituiscono ed i transgender sono certamente una fascia particolarmente interessata da infezioni da HIV, ma non tutti sanno il perché. Sono ancora molti i Paesi che attuano leggi e politiche discriminatorie nei confronti di queste persone: sono molti i casi in cui non viene loro consentito l’accesso a test diagnostici e a trattamenti medici specifici.
Ad ogni modo, l’AIDS può colpire chiunque, in maniera indipendente dal sesso e dall’orientamento sessuale. Basti pensare che negli ultimi anni la principale modalità di trasmissione tra le nuove diagnosi di HIV avviene attraverso rapporti eterosessuali.
La popolazione a rischio è, quindi, sostanzialmente quella che non usa il preservativo.
3. I contatti quotidiani con un sieropositivo mettono a rischio contagio
Assolutamente sbagliato (e discriminatorio). Eppure, secondo la ricerca effettuata da Skuola.net, sono molti i giovani che credono quanto il semplice contatto possa essere rischioso. Il 46% degli intervistati crede che basti condividere con il sieropositivo gli stessi spazi per esporsi al contagio: il 14% crede che basti usare le stesse posate e bicchieri;, il 9% lo stesso asciugamano; il 6% uno starnuto o un colpo di tosse del malato; il 3% facendo sport assieme; il 14% addirittura un qualsiasi contatto con una persona affetta da HIV può trasmettere il virus.
Il virus dell’HIV si trasmette soltanto attraverso sangue, sperma, secrezioni vaginali o latte materno. La trasmissione sessuale è la modalità più diffusa e riguarda l’80% delle nuove dia