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Gianni Versace: il sarto che scuoiò la moda

Redazione by Redazione
16 Aprile 2021
Reading Time: 4 mins read
Un viaggio in ogni abito per contemplare il mare di Reggio Calabria, le strade del mondo, la mutevolezza dell’arte e celebrare l’umanità

“Io non sono un disegnatore di moda: sono un sarto”. Così amava definirsi Gianni Versace con la forza che era stata di sua madre. Una sarta che aveva costruito un atelier- focolare dove Gianni è cresciuto, tra fantasia e ricami.

Se cercate in Calabria un tributo istituzionale di Gianni Versace non ne troverete molti. È stata persa l’occasione di un riconoscimento ufficiale verso questo genio. L’omosessualità dichiarata coraggiosamente, anzi, l’amore limpido per Antonio d’Amico, è diventato un velo che ha coperto tutto, assieme alla brama maniacale sull’assassinio incomprensibile di questo astro del nostro tempo.

Vilipeso dal quel silenzio che è in contrasto aperto con la verità, come Pier Paolo Pasolini, Gianni Versace resta, nonostante questo, un genio del secolo scorso. È colui che ne ha stravolto la comunicazione nella moda, trasformando le indossatrici nell’aureo mito delle top model, colui che ha celebrato la donna come dea, mutando le sfilate in eventi sacri, liturgici, colui che ha dato vita a commistioni incredibili dei tessuti da contrasti materiali impalpabili, colui che ha unito la creatività stilistica alla storia dell’arte, non solo per colori, ma per forma, linee, tagli.

“Gianni Versace era un uomo della Magna Grecia, dell’era classica. Il suo volto con la barba arricciata sembra quello di un bronzo di Riace uscito dal mare calabrese”

Gianni Versace era un uomo della Magna Grecia, dell’era classica. Il suo volto con la barba arricciata sembra quello di un bronzo di Riace uscito dal mare calabrese. Nei suoi abiti c’è il respiro del lungomare più illuminato e ventoso del mondo, quello di Reggio Calabria. Nel suo marchio palpita la medusa imprigionata in un cerchio dalla bordatura greca. Nelle stoffe c’è un richiamo all’arte bizantina, a quell’oro che era per il divino e che Versace ha destinato all’umanità. Per questo le modelle si muovevano nelle sfilate come ancelle, vestali. “Reggio è il regno dove è cominciata la favola della mia vita: la sartoria di mia madre, la boutique d’Alta Moda. Il luogo dove, da piccolo, cominciai ad apprezzare l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, dove ho cominciato a respirare l’arte della Magna Grecia” racconta lui stesso.

In seguito, il suo stile comprese tutti i quadri che vide, ogni viaggio che fece. Il mondo era suo: era pieno di mappamondi nella sua casa. “Il mondo è una cosa talmente bella che mi piacerebbe possederla tutta, dal punto di vista visivo. Vedere, viaggiare. Se fossi nato nell’antichità, come mi ha detto una volta Maurice Béjart, avrei fatto parte della banda di Ulisse”.

“Il viaggio è liberazione, è cultura; voglia di vedere altre facce, di dimenticare sé stessi, di diventare una persona nuova, migliore” – Gianni Versace

Nei suoi abiti apparirono quindi le sete e le spezie dell’India, le cangianti acque del Vietnam, i minerali brillanti dei deserti. “Ammirare il Corno d’Oro e Istanbul dall’alto; salire alla rocca di Pergamo e, più tardi, scoprire nel museo di Berlino l’altare che è stato portato via da lì. Il viaggio è emozione, gioia, follia: una volta, nel cuore del deserto del Sudan, mi sono spogliato completamente e mi sono messo a correre. Al tramonto, verso questo sole che letteralmente mi inghiottiva. Il viaggio è liberazione, è cultura; voglia di vedere altre facce, di dimenticare sé stessi, di diventare una persona nuova, migliore” raccontava in un’intervista. “In Vietnam ho girato per quindici giorni con addosso il loro abito tradizionale da operaio, giacca e pantaloni di tela blu. Improvvisamente ecco nascere una gonna che mi ricorda l’India; e magari insieme mi ricorda Picasso. Io voglio gli incontri impossibili. Mi piace che in un vestito Fragonard parli con Picasso”.

Quindi, per conoscere Gianni Versace la Calabria è solo un punto di partenza, la sua stessa moda è viaggio come conoscenza e la casa Casuarina è il punto di approdo: sculture classiche, vasi etruschi, tele orientali, lucerne bizantine opere d’arte di Pistoletto, Cucchi, Warhol, Schifano, Pomodoro .

Eppure, il sud italiano torna spesso nell’animo più intimo di Gianni Versace. Quando si è ammalato gravemente si rivedeva nel conte di Salina del Gattopardo, come racconta Antonio d’Amico.

Tra i momenti cruciali della storia di questo stilista e di un’epoca ricordiamo il lancio nel 1995 della linea giovane, Versus, al Metropolitan di New York da cui nacquero le collaborazioni con i grandi fotografi i cui nomi sono passati alla storia. Parliamo di Avedon, Newton che ci lasciano opere d’arte iconiche che ritraggono Naomi Campbell, Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Cindy Crawford, Madonna, Elton John.

Oggi il gruppo Versace è in mano a John D. Idol, il chairman della nuova società che si chiama Capri Holdings (di cui fanno parte Versace, Michael Kors e Jimmy Choo). Quel Michael Kors citato in Rolls Royce di Achille Lauro. Sicuro uno che sarebbe piaciuto a Gianni Versace.

“Il problema è capire che cosa piace alla gente, e arrivarci un attimo prima. È un processo molto delicato. A livello inconscio, la gente sa già quello che vorrà tra un attimo. Tutto sta nel capirlo un istante prima di tutti gli altri e nell’offrirlo” questa l’eredità che lo stilista lascia alla sorella Donatella, e a tutti coloro che sognano di moda. Intuizioni, un talento da nutrire. Aveva detto: “Io intendo possedere la moda, scuoiarla viva, tirarle fuori l’anima” e ci è riuscito.

“Il viaggio è emozione, gioia, follia: una volta, nel cuore del deserto
del Sudan, mi sono spogliato completamente e mi sono messo a correre. Al tramonto, verso questo sole che letteralmente mi inghiottiva”. –
Gianni Versace

 

Di Letizia Strambi

 

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