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Dante Alighieri e la Sodomia della “Divina Commedia”

Redazione by Redazione
25 Marzo 2021
Reading Time: 2 mins read

Nel 2021 si celebrano i 700 anni della morte del padre della lingua italiana, Dante Alighieri (1265-1321). Con il suo magistrale poema “La Divina Commedia”, in cui immagina il suo viaggio tra Inferno Purgatorio e Paradiso, Dante affrancò l’ “idioma volgare italico” a lingua vera e propria, in contrasto al latino, che era l’unica lingua utilizzata nelle opere artistiche e librarie fino ad allora.

C’è una giornata, in particolare, che viene ricordata in relazione alla Divina Commedia: il 25 marzo 1300 è il giorno in cui Dante immagina l’inizio del suo viaggio negli Inferi “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura…”. Questo è l’incipit dell’opera.

Nel suo itinerario fantastico, Dante incontra molti personaggi legati sia alla storia passata che alle sue vicende personali. Egli visse nella Firenze del XIII secolo, epoca in cui l’Umanesimo prima ed il Rinascimento poi scuotevano gli animi degli artisti e si poneva grande attenzione all’uomo, come essere al centro dell’Universo.

Ancora oggi, a distanza di settecento anni, non è chiara l’attitudine di Dante che lo spinse ad immaginare l’incontro con i sodomiti nell’Inferno, sottoposti alla pena brutale di dover muoversi sempre per evitare di venir inchiodati a terra mentre dardi fiammeggianti li colpiscono.

Dante incontra, tra i sodomiti, il suo maestro Brunetto Latini e molti altri illustri della società fiorentina e non solo. Anche nel Purgatorio Dante incontra dei sodomiti, di cui non fa espresso nome. Forse ‘meno colpevoli’ di quelli posti all’Inferno, perché qui i sodomiti sono collocati insieme agli eterosessuali lussuriosi. In effetti, allora si pensava che il peccato di sodomia potesse essere o volontario o commesso ‘per natura’. Il primo avrebbe destinato all’inferno, il secondo al Purgatorio.

Dante si dimostra uomo dei suoi tempi: siamo nell’epoca in cui si fronteggiano la morale ecclesiastica con una certa mondanità diffusa e spesso assecondata. In effetti, Dante lascia comprendere che Brunetto Latini fu per lui ‘Maestro’, ne riconosce l’immensa cultura e questo fa sì che Dante metta la “morale del peccato” al secondo posto rispetto alla stima che nutriva per il suo mentore. Per il poeta erano altri i peccati davvero gravi, come il tradimento. Tuttavia, egli dimostra di essere ancora fortemente ancorato alla morale religiosa del suo tempo, altrimenti non si spiegherebbe come mai Brunetto Latini sia collocato nell’Inferno.

La critica letteraria si è spesso soffermata sulla visione che Dante propone nei confronti della sodomia: che il sussiego nei confronti di Brunetto Latini significhi condividerne lo stile di vita? O che egli venga posto all’inferno perché Dante fu avvicinato dal suo maestro, in gioventù?

Il giudizio morale di Dante, che non condanna in toto la sodomia, non fu bene accetto dai critici del suo tempo, che spesso cercarono di spostare l’attenzione sulla grandezza personale e sulle gesta dei personaggi, piuttosto che sulle loro azioni più biasimevoli. Questa strada venne seguita in molta critica successiva fino al 1900, che si appella ad un’interpretazione più psicologica dell’attitudine dantesca, nel suo altalenarsi tra umorismo e severità.

D’altronde, Dante aveva avuto sicuramente accesso a documenti pubblici che condannavano la sodomia, così come a pettegolezzi vari che raccontavano e portavano in giudizio “peccati biasimevoli”. Tuttavia, non è chiaro se e come Dante intendesse dimostrare che l’omosessualità fosse davvero esecrabile e soprattutto se lui stesso ne fosse davvero convinto.

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