La Tomba del Tuffatore non è un’opera d’arte nata per essere interpretata o discussa, essa è infatti una sepoltura a cassa in lastre di pietra calcarea appartenuta probabilmente a un giovane, una tomba che fu sigillata e sotterrata per restare invisibile per l’eternità.
Senonché dal 1968, anno in cui la tomba fu rinvenuta nella Necropoli Tempa del Prete (a qualche kilometro dalla lucana Paestum, la greca Poseidonia), essa è diventata argomento di dibattito da parte degli archeologi che hanno cercato di comprenderne il criptico e enigmatico significato, così come anche un’eccezionale opera d’arte che ha notevolmente suscitato l’interesse e la curiosità di un vasto pubblico.
La Tomba, datata agli anni 500-475 a. C. circa grazie al corredo funerario che conteneva, è composta da cinque lastre dipinte e prende il nome dall’immagine raffigurata sulla faccia interna del lastrone rettangolare di copertura, dove è rappresentato un uomo completamente nudo colto nell’atto di tuffarsi in uno specchio d’acqua.
Le altre quattro facce rappresentano scene di simposio tipiche della vita di un cittadino greco avviato verso l’età adulta. In esse troviamo descritte tutte le caratteristiche di questo fondamentale momento socioeducativo aristocratico del mondo maschile greco: i simposiasti sono adagiati sulle klinai in presenza di vasi pieni di vino, alcuni discutono dopo aver bevuto, alcuni suonano degli strumenti a fiato o a corde, mentre altri amoreggiano (l’erastés, l’amante barbuto e l’eròmenos, il fanciullo). C’è poi un giovane coppiere nudo e altri personaggi colti in un incedere in avanti che sembra una danza (tra essi può darsi una giovane suonatrice), mentre altri ancora si dedicano al kottabos, gioco noto grazie alle fonti antiche greche che prevedeva, mediante particolari regole, di versare l’ultima goccia della propria coppa di vino dentro a un piatto poggiato al centro della sala.
La discussione critica sulla Tomba del Tuffatore è partita innanzitutto in merito allo stile dei dipinti, considerate variamente come un rarissimo esempio di pittura funeraria e un capolavoro della pittura magno-greca di epoca classica (quella pittura greca di cui pochissime tracce rimangono, se non l’eco delle pagine che vi dedicò Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia), così come un fatto artistico locale di qualità tecnica ed esecutiva tutto sommato semplice, tale da non operare un’accurata ricerca di profondità spaziale nella rappresentazione e comunque dipendente dalla contemporanea ceramografia, ovvero, ancora, un esempio d’arte funeraria da mettere in rapporto alle espressioni artistiche etrusche (in particolare con i dipinti della Tomba della Caccia e della Pesca di Tarquinia).
L’opera pestana, che ha pertanto tra le sue caratteristiche la cultura simposiaca greca come la modalità etrusca e italica di intonacare e dipingere con figure le tombe, ha un significato che all’osservatore contemporaneo appare ambiguo, misteriosamente evocativo e tutto da dibattere. La critica, che ne ha proposto diverse interpretazioni, ha ad esempio associato le pitture della Tomba ai culti misterici di Orfeo, e allo stesso tempo ha considerato quelle immagini come niente altro che un’espressione realistica di una scena di banchetto dove leggere, tuttalpiù, un generico richiamo al passaggio simbolico di stato, dalla vita alla morte, nel tuffo della lastra di copertura. L’interpretazione “misterico-dionisiaca” delle immagini della tomba è forse quella più affascinante, anche se ancora aperta e dibattuta. Attestate in contesti magno-greci dell’epoca vive tracce del culto orfico in diverse sepolture, secondo alcuni archeologi questo raffinato manufatto rispecchia probabilmente la volontà del defunto di raggiungere un aldilà grazie a un rituale segreto, un adepto di una setta legata a Dioniso e a Orfeo alla ricerca di uno stato di beatitudine precluso a chi non partecipava a quel particolare culto misterico, vale a dire chi, come la maggior parte degli uomini, dopo la morte avrebbe raggiunto l’Ade e il tormento. A suffragare questa ipotesi la presenza nella tomba di diversi strumenti musicali riprodotti nei dipinti oltre al rinvenimento nel corredo di una lyra, antico strumento notoriamente connesso alla figura del mitico cantore Orfeo.
La tomba, che potrebbe essere appartenuta a un indigeno amante del gusto e praticante delle usanze elleniche, è di certo il punto di contatto tra la civiltà greca e italica e resta tuttavia orfana di un’interpretazione univoca e universalmente accettata, continuando così a stupire, incuriosire ed emozionare chi la studia come anche i numerosissimi visitatori che ogni anno vanno ad ammirarla.
Il fascino esercitato sui contemporanei dalla Tomba del Tuffatore ha probabilmente a che fare con la scoperta di un’intimità lontana nel tempo che voleva precludersi agli occhi di chi sarebbe venuto dopo, ha a che fare con il mistero della morte da cui molti sono attratti, ci parla delle segrete aspirazioni di un individuo di cui ci rimane soltanto ciò che egli voleva nascondere.
Immagine cover: Tuffatore, ca 500-475 a.C. Affresco, 110×220 cm. Da Poseidonia. Lastra di copertura della Tomba del Tuffatore. Paestum (Salerno), Museo Archeologico Nazionale © Parco Archeologico di Paestum e Velia / Ministero della Cultura
Di Calogero Pirrera